Commento a La
vera casa di Caio di Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari
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Vanta origini aristocratiche,
addirittura sostiene di discendere da Carlo Magno per parte di madre, e questo
non è casuale: è un brillante richiamo al grande sogno di un’Europa e di un
Mondo uniti per il bene dell’Uomo, che è a tutti gli effetti il grande
coprotagonista del romanzo. E Caio, che conosce alla perfezione le esperienze
della vita umana, soggiornando «quando in hotel lussuosi, quando sbattuto negli
orrori delle stazioni» (p. 13) di certo non può deludere le aspettative
dell’Imperatore medioevale, che arriva a definire nonno come in procinto
di affidarsi ad una sua protezione e ad una sua adozione spirituale. Del resto
sarebbe in possesso di un anello appartenuto al grande sovrano, ma tutto ciò si
confonde con la leggenda, che permea l’intera vita di Caio, la cui nascita,
avvenuta misteriosamente in una grotta sui monti siciliani, sembra più un
dettaglio letterario di Esiodo o di Eschilo che di Pirandello.
Eppure Caio conosce bene il
Novecento, predica con larghissimo anticipo concetti che avrebbero costituito
l’essenza stessa della grande crisi finanziaria, economica e sociale che dal
2007 flagella il Mondo e che vede sempre più alla ribalta ogni tipo di teorici
e predicatori.
Il testo, dallo stile
elegantissimo, è la perfetta fusione tra intreccio narrativo, contenuti
storico-socio-politici validamente provati e riferimenti coltissimi che
mostrano, in tutta la sua bellezza, l’ampia sensibilità e la profonda
conoscenza dell’Autrice su tematiche relative all’arte, alla scienza e alla
dottrine economico-sociali. Del resto appaiono chiari gli elementi
autobiografici che la Professoressa Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari ha
inserito in questo piccolo capolavoro: dalle origini aristocratiche alla
condivisione del pensiero di Alfred Adler, l’allievo ribelle di Freud,
probabilmente fonte di ispirazione per la Scrittrice.
Tornando alla trama, variamente
intrecciata ma mai difficile da seguire, risulta utile anticipare come Caio
tenti di realizzare il suo utopico progetto idealistico-politico, costruendo
sette case in sette parti del Mondo, ambasciate del sapere che diventano, nella
loro stravaganza, catalizzatori culturali di diffusione del suo messaggio
politico.
La prima ad essere eretta è una
«casa di sghembo» costruita sulle ceneri dell’antico palazzo baronale di
famiglia nella terra natìa. La Sicilia di Caio è un’isola ben diversa dalla
tipica immagine mediterranea, fatta di sole, marzapane e profumo di limoni. È
uno spazio dal sapore mitologico e dal gusto classico, che nulla ha a che
vedere con i luoghi di Sciascia. È un paradiso «dal cielo color mare e dal
mare color cielo» (p.17), dove comizi cittadini e riunioni «simil-massoniche»
si svolgono tra le rovine greche di un labirinto sotterraneo. Ma Caio,
disgustato dalla «disumanità del mondo umano» (p.16) va oltre il mare a portare
le sue parole e, come un novello Enea, eccolo arrivare in Etiopia, dove in
cerca di seguaci, ha occasione di conoscere e praticare l’amore. «Insieme agli
altri non fa paura neppure la morte» (p.36) sostiene e per questo cerca di
coinvolgere perfino i placidi tibetani, gli abitanti di una terra dove la
tranquillità sembra turbata dalla stessa presenza del politologo siciliano in
netta contrapposizione di opinioni con l’artista Emilio Gamberani, il vero
antieroe del romanzo. Nella fredda Svezia, Caio costruisce una quarta casa e il
gelo dell’aria e delle onde del Baltico rappresenta uno stimolo a
riappropriarsi della tendenza al realismo. Diviene critico Caio. È per questo
che nella successiva tappa, a New York, decide di contribuire fattivamente alla
costruzione di un archivio cartaceo, attraverso un lavoro «matto e
disperatissimo», che rappresenta una prima artigianale opera anagrafica
dell’intera umanità. In Sudamerica conosce il computer e il dissenso. Nel
Pacifico, in un’isola dal nome impronunciabile, il vero Amore.
Caio ha costruito diverse case e ha
vissuto come una staffetta per «evangelizzare» tutte le terre del Mondo. Che
non riconosca in nessuna di queste la sua vera patria? L’Italia, di certo, è
ancora importante; a Roma vive un nipote, Angelo, che abita a due passi dalla
statua di Giordano Bruno, altro rivoluzionario della Storia. Ma Caio va oltre.
Dopo averle viste tutte scopre che la sua vera casa è la coscienza, intesa più
come consapevolezza di sé che come tribunale interiore. «È chiaro che la
coscienza è la mia vera casa. E ciascuno trovi in essa la sua» si legge a
pagina 100.
La vera casa di Caio è un
romanzo dove le sole idee creano avventura. È un libro che parla di Umanesimo,
opponendosi all’immagine della Firenze del Quattrocento per tendere alla
fantascienza improbabile di Asimov e Orwell. Del resto, pur essendo reali e
tangibili i problemi descritti con minuzia quasi profetica, appare sbiadito il
tratto spazio-temporale della realtà. La stessa Autrice ammette di aver parlato
di un «mondo che non c’è».
Stilisticamente è da apprezzare
l’anafora delle aggettivazioni che rendono benissimo le immagini. E, in
conclusione, desidero definire l’opera mutuando le parole dello stesso
protagonista: si tratta di un racconto «bellissimo come inverosimile». Ci
insegna che cosa si intenda per utopia. Caio è un utopista, Caio è un sognatore
che compie un nòstos, un ritorno alla vera origine e al vero significato
ontologico dell’Uomo, mentre noi, hic et nunc, siamo soltanto nel bel
mezzo del viaggio.
Matteo Di Vincenzo
Maria Antonietta Coccanari de' Fornari, La vera casa di Caio, Aletti Editore, Villanova di Guidonia 2006, pp. 109, € 14,00
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